Repressione o riduzione del danno? Come affrontare l’uso di droghe in futuro
Dal dilagare dell’eroina negli anni ’80, l’approccio alle tossicodipendenze è cambiato. Oggi psicofarmaci e molecole sintetiche sono tra le più pericolose, ma serve maggiore consapevolezza nel consumo per diminuire i danni.
Nora fa l’operatrice sociale, lavora per una cooperativa di Firenze e si occupa di riduzione del danno. In altre parole, insieme alle sue colleghe e colleghi, aiuta le persone dipendenti da sostanze psicotrope a “drogarsi meglio, per non recare danni a sé stessi e agli altri”.
Il turno di notte comincia all’una e va avanti fino alle 6 del mattino. Durante il suo orario notturno, nel cosiddetto drop-in, lo “spazio di decompressione” dove chi ha bisogno può fermarsi a riposare, Nora incontra tutti i profili che popolano il “mondo della notte”. Persone senza fissa dimora, venute a prendere una tazza di tè prima di andare a dormire, turisti stranieri appena usciti dalle discoteche, adolescenti con poche o nessuna attività ludica che li distragga nel fine settimana. Un piccolo multiverso, che in realtà è lo specchio della vita che ognuna e ognuno vive tutti i giorni.
La riduzione del danno è un approccio al mondo delle tossicodipendenze che nasce negli anni ‘80 con l’epidemia di consumo di eroina. È un metodo non giudicante nei confronti di chi consuma sostanze psicotrope, che tende quindi a non usare il termine tossicodipendenti, ma consumatori. “Il nostro obiettivo non è di far smettere la persona che consuma sostanze, ma di renderla consapevole dell’utilizzo che ne fa”, sottolinea Nora. “L’assunzione fa parte di un processo, e la riduzione del danno è un modo per allargare lo sguardo al di là del consumo. Infatti, se si parla di consumo si deve parlare anche della vita di chi consuma, che si inscrive all’interno di un contesto integrato, composto dal lavoro, dall’ambito familiare, socio-culturale ed economico. Le esperienze di consumo sono altamente soggettive, infinite, e non possono essere racchiuse in uno stereotipo fisso”.
Il consumo di sostanze in Italia aumenta soprattutto tra i giovanissimi
Secondo la Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno della tossicodipendenze in Italia, curata dal Dipartimento per le politiche antidroga del Governo e pubblicata a luglio 2023, oltre 14 milioni e 300mila persone residenti nel nostro Paese, in età compresa tra i 18 e gli 84 anni, hanno assunto almeno una sostanza psicoattiva illegale nel corso della propria vita. Le sostanze prese in esame sono hashish, marijuana, oppiacei, cocaina, amfetamina, ecstasy, Mdma, Lsd, funghi allucinogeni, ketamina, solventi e inalanti. La quota di persone consumatrici scende a quasi 4 milioni 900 mila se viene preso in considerazione il consumo nel corso del 2022, e a 2 milioni 100mila negli ultimi 30 giorni.
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Lo studio rileva che “a fronte di una generale diminuzione delle persone che hanno utilizzato almeno una volta le sostanze nella vita, si nota un leggero aumento di coloro che lo hanno fatto nel corso dell’anno in cui è stato condotto lo studio, e valori stabili rispetto a coloro che riferiscono un consumo corrente, ovvero negli ultimi 30 giorni”. Ma andando a vedere la fascia di età delle e dei giovanissimi, tra i 15 e i 19 anni, si può notare che la percentuale di persone che ha consumato almeno una volta una sostanza illegale nell’ultimo anno è passata dal 18,7% al 27,9%. Un aumento di quasi 10 punti percentuali, che si avvicina a un giovane su tre.
Politiche restrittive e prospettive al 2030
L’approccio legato alla riduzione del danno vede il proibizionismo come inefficace, perché favoreggia malavita e commercio illegale di sostanze. Secondo Federica, psicologa che lavora in un’associazione di Roma per l’inclusione sociale, nel nostro Paese, “a livello politico”, si sta andando verso tipologie di cura che prevedono solo l’astinenza, eliminando l’ottica per cui il consumatore può continuare a usare la sostanza e fare qualcos’altro. “Noi non adottiamo questo approccio, ma alcune associazioni utilizzano la riduzione del danno come un aggancio per togliere le persone dalla strada e avviare i consumatori verso le comunità. Le persone vengono inserite, se riescono, solo all’interno delle comunità, che spesso però non sono sufficienti per arrivare al loro scopo. Questi approcci tagliano fuori tanti soggetti che non riescono, non vogliono o non possono allontanarsi dalla sostanza. Non vengono però date delle opportunità alternative alle persone dipendenti. Una scelta che può riassumersi in “o consumi e sei emarginato oppure non consumi e puoi tornare nella società”. Ma “la fuoriuscita da una dipendenza è legata a contesti sociali, soprattutto a quella del lavoro. Chi lavora ha un consumo meno eccessivo, perché ci si equilibra rispetto al consumo”.
Prendendo in esame il documento “Prospettive per la politica in materia di droghe fino al 2030”, elaborato dal Consiglio federale della Confederazione elvetica, e modificato l’ultima volta nel giugno del 2021, la proibizione totale delle sostanze, e quindi la criminalizzazione e l’emarginazione delle persone consumatrici, ha una effetto negativo nella lotta contro le dipendenze, al pari di una legalizzazione del mercato senza regolamentazioni. Secondo il documento, “i maggiori costi sociali e sanitari legati al consumo di sostanze si registrano in caso di severa proibizione e di un mercato di stupefacenti legale completamente liberalizzato”. Mentre soluzioni che si collocano nel mezzo di questo spettro “probabilmente comportano una migliore protezione della salute e costi inferiori per la società”.
L’epidemia di Fentanyl negli Stati Uniti e le droghe del futuro
Spesso quando si parla di dipendenza da sostanze si pensa in prima battuta a quelle illegali, ma ormai il consumo di medicinali da banco sta prendendo sempre più piede. Particolarmente diffuso il “policonsumo”, ovvero l’assunzione di più di una sostanza nello stesso momento, legato soprattutto alla ricerca di effetti a poco prezzo e alla maggiore disponibilità di sostanze vendibili in farmacia.
Se in Europa questo fenomeno è in aumento, ma con margini ancora ridotti, l’esempio più significativo viene dagli Stati Uniti, dove ormai da alcuni anni si sta verificando una vera e propria epidemia causata dall’abuso di un oppiaceo sintetico denominato Fentanyl. Gli effetti di questa droga, anche se più brevi (all’incirca un’ora per una dose), sono pressoché 50 volte più forti di quelli di una dose di eroina. Questo farmaco, di cui Wired e Il Foglio hanno parlato ultimamente, miete negli States all’incirca 200 morti per overdose al giorno. L’uso, e l’abuso, di Fentanyl ha però delle origini completamente legali, in quanto è stato inizialmente sponsorizzato negli anni 2000 da alcune aziende farmaceutiche per le terapie di pazienti affetti da dolore cronico.
Anche se il governo statunitense sta ormai prendendo misure per fermare il consumo di questa sostanza, è interessante notare come il Fentanyl sia al centro di uno scontro geopolitico internazionale tra Stati uniti e Cina. Il gigante asiatico gioca il ruolo del Paese produttore delle molecole necessarie per la sintetizzazione del Fentanyl, le quali vengono poi distribuite negli Usa dai cartelli messicani. Il coinvolgimento della Cina nella filiera di produzione dell’oppiaceo sintetico è così conclamato da essere stato discusso durante l’ultimo incontro tra il presidente statunitense Joe Biden e il suo omologo cinese Xi Jinping, avvenuto il 15 novembre scorso. Durante il vertice, il presidente della Repubblica popolare si è impegnato, a parole, a combattere in maniera efficiente e senza precedenti la produzione della sostanza.
Ogni settimana in Europa il mercato offre una nuova sostanza psicoattiva
Dopo la pandemia il mercato della droga in Europa si caratterizza per una sempre maggiore disponibilità e diversità dei modelli di consumo. Preoccupa l’incremento della produzione di droghe sintetiche.
Ma non c’è solo il Fentanyl. Per sfuggire alle maglie della legge, tra il 2019 e il 2022 sono nate, secondo uno studio dell’European monitoring centre for drugs and drug addiction, 18 nuove sostanze psicoattive. Queste sostanze, nate per imitare quelle più conosciute ma dotate di strutture chimiche leggermente diverse, riescono a eludere controlli e monitoraggi. "In Australia abbiamo trovato sette nuove sostanze psicoattive tra cui mefedrone, etilone ed eutilone, che hanno tutti un effetto simile all'Mdma o alla cocaina", ha commentato il ricercatore Richard Bade, che ha condotto l’indagine. "Abbiamo anche riscontrato un aumento di droghe simili in Europa, dove c'erano alti livelli di 3-metilmetcatinone, in particolare in Spagna e Slovenia". Lo studio è stato condotto analizzando le acque reflue provenienti da 47 città in 16 Paesi diversi.
In chiusura, l’intelligenza artificiale: un team di ricerca dell’Università della British Columbia ha elaborato un sistema per ridurre, tramite l’Ai, i tempi di identificazione di nuove sostanze psicoattive che potrebbe comparire sul mercato. L’algoritmo è stato addestrato partendo da un database di strutture chimiche già note. Sulla base dei dati, il sistema ha stilato 8,9 milioni di nuove potenziali droghe sintetiche.
Come ha detto il professor David Wishart, coordinatore dello studio: “Poter prevedere quali droghe sintetiche stanno per emergere sul mercato prima ancora che facciano la loro comparsa è un po’ come nel film Minority Report, dove la previsione delle attività criminali che stanno per essere svolte aiuta a ridurre il crimine in un mondo futuro”. Uno strumento in diretto contrasto con l’approccio della riduzione del danno, che mira ad accrescere la consapevolezza dei consumatori.