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Chiese vuote, immobili in perdita: religioni in declino o in trasformazione?

La pandemia ha accelerato tendenze già delineate dalla secolarizzazione, come la vendita di molti edifici religiosi e la fusione di diverse congregazioni. Anche le previsioni demografiche rivelano che lo scenario dei culti religiosi sta mutando rapidamente.

di Mariaflavia Cascelli

Considerando il fenomeno religioso dal punto di vista della sua storia evolutiva e del suo valore adattativo, difficilmente possiamo pensare a un futuro senza religioni. Così Rachel Nuwer, a partire da una riflessione sull’aumento del numero di persone atee nel mondo, risponde alla domanda che dà il titolo al suo articolo su BBC Future Will religion ever disappear?, in cui la giornalista richiama aspetti legati alla filogenesi e all’ontogenesi della religione: il suo ruolo nel favorire la coesione e la cooperazione all’interno delle società, le relazioni con la psicologia evolutiva e con il  funzionamento del nostro cervello.

La religione come fenomeno naturale

Nel suo libro Rompere l’incantesimo. La religione come fenomeno naturale, il filosofo delle scienze cognitive statunitense Daniel Dennett sostiene che occorre rompere il tabù di un’indagine schietta, scientifica sulla religione come fenomeno naturale e umano tra gli altri, fatto di oggetti, strutture, forme, eventi e organismi che obbediscono alle leggi della fisica e della biologia. Le manifestazioni terrene della religione – dice Dennett – devono considerarsi parte della natura; per questo, non potendoci permettere di ignorare un campo così importante, è necessario sottoporre questo fenomeno globale allo studio interdisciplinare più intensivo che è possibile condurre. “Se parliamo delle esperienze, delle credenze e delle pratiche religiose dell’homo sapiens, ma anche dei suoi testi, oggetti, istituzioni e conflitti religiosi, in una parola della sua storia religiosa, allora si tratta di un voluminoso catalogo di fenomeni indiscutibilmente naturali”. Come ponti e cattedrali obbediscono a una stessa legge di gravità e sono soggetti ai medesimi sforzi e tensioni, i romanzi e la Bibbia, in quanto beni vendibili su larga scala, rientrano entrambi nelle regolarità dell’economia, dice Dennett.

Un fenomeno economico

Secondo un articolo apparso l’8 gennaio sull’Economist, la crisi pandemica potrebbe intensificare alcune tendenze già ben presenti nel destino materiale delle confessioni del mondo; anch’esso è infatti soggetto, non meno di quello spirituale, al portato della secolarizzazione: calo della partecipazione dei fedeli, fusioni, vendite e fallimenti.

Se invitati a raccontare la sfida più grande che si trovano ad affrontare oggi nelle loro confraternite, un prete, un rabbino, un imam riferirebbero probabilmente della difficoltà di promuovere i valori spirituali in un mondo secolare. Ma – prosegue l’articolo – a insidiare le religioni sono anche gli ostacoli che ne minano la competitività, impedendo loro di rimanere solide in senso economico. Nel suo La ricchezza delle nazioni del 1776, Adam Smith affermava che le chiese sono imprese, alla stregua di macellerie, forni e birrifici. Ne deriva che in un mercato libero e competitivo, dove le donazioni e l’operato dei volontari sono fondamentali per sbarcare il lunario, il clero debba ingegnarsi per attrarre fedeli tra i banchi. Oggi, forse più che in passato, il mercato della religione è in subbuglio, sebbene anche nelle comunità religiose la pandemia abbia prodotto vincitori e vinti: la paura della morte e il maggior tempo a disposizione dei fedeli hanno dato molto da fare ad alcune chiese, ma le confraternite poco affiatate già prima del Covid hanno faticato a rimanere coese e in attività. Il ricorso alle funzioni da remoto, o al contrario la diffidenza del clero nell’adozione di questo espediente per continuare a esercitare le funzioni, hanno fornito a molti fedeli la giustificazione definitiva per smettere di farsi vedere, o provocato uno sfilacciamento delle comunità. Questo potrebbe determinare l’intensificarsi di due tendenze che però non ha generato la pandemia: la vendita di molti edifici religiosi e la fusione di diverse congregazioni.

La partecipazione religiosa: come attrarre i fedeli

Negli Stati Uniti, rileva lo stesso articolo dell’Economist, la quota di cittadini che si definiscono cristiani è scesa dall'82% nel 2000 a meno del 75% nel 2020 (grafico 1).

Sebbene la percentuale di statunitensi che sostengono di partecipare a una funzione religiosa almeno una volta alla settimana sia di gran lunga superiore a quella di altri Paesi ricchi, il suo calo è costante dal 2000, quando era al 45% contro il 30% di oggi. Anche secondo un sondaggio Gallup del 2021, benché la stragrande maggioranza degli americani si dichiari religiosa – e in prevalenza cristiana – la percentuale di cittadini che si definiscono credenti e che frequenta regolarmente le funzioni è in calo.

Si potrebbe ipotizzare che, a fronte di questi dati, le risposte che potrebbero dare le religioni riguardano la capacità di sviluppare una maggiore sintonia con le esigenze dei fedeli, per accostarsi ai loro gusti e risultare quanto più possibile “seducenti". Da questo punto di vista, sembra che la pandemia abbia stimolato l'innovazione nelle chiese di tutto il mondo. Un esempio di questa tendenza è il Milton Keynes Christian Center nel Regno Unito, che ha sviluppato corsi di educazione religiosa e gruppi di preghiera, e aperto una "suite sensoriale" per i bambini con difficoltà di apprendimento. Tony Morgan, fondatore della società di consulenza ecclesiastica The Unstuck Group, con riferimento al modello del Milton Center afferma che “Le chiese devono rivedere le strategie con cui esercitano il loro ministero per assicurarsi di essere in sintonia con i cambiamenti nella nostra cultura di oggi”.

Istituzioni religiose e benessere terreno: gli immobili

Nei secoli le religioni hanno accumulato ricchezze terrene sotto forma di proprietà. Il Vaticano possiede migliaia di edifici, alcuni nelle parti più eleganti di Londra e Parigi. La Chiesa di Scientology possiede immobili nei quartieri più esclusivi di Hollywood del valore di circa 400 milioni di dollari, un castello medievale in Sud Africa e un palazzo del Diciottesimo secolo nel Sussex, in Inghilterra. Il Wat Phra Dhammakaya, un tempio di proprietà della setta buddista più ricca della Thailandia, ha sale di meditazione sparse in tutto il mondo. Templi, sinagoghe e moschee monitorano con attenzione l’aumento dei prezzi nel settore, aspetto tanto più importante quanto più le pratiche religiose tradizionali diminuiscono, e con esse le donazioni dei fedeli. Negli ultimi dieci anni si stima che nel Regno Unito ogni anno abbiano chiuso più di duecento edifici ecclesiastici, e che altre centinaia potrebbero essere venduti o demoliti. Anche in America decine di migliaia di edifici rischiano di chiudere i battenti; negli ultimi due decenni sono state chiuse quasi un terzo delle sinagoghe. I banchi della Chiesa di Santa Maria a Berlino, un’imponente struttura gotica in mattoni rossi, ricca di antichi affreschi e bassorilievi in pietra, si vanno svuotando dalla Seconda guerra mondiale. Secondo il suo pastore luterano, Gregor Hohberg, i giovani berlinesi hanno senz’altro “bisogni religiosi”, ma li soddisfano con lezioni di yoga e gruppi di meditazione. L’opinione pubblica, sostiene Padre Hohberg all’Economist, non rendendosi conto che la chiesa accoglie famiglie gay e che tra i pastori ci sono molte donne, ritiene che la chiesa sia antiquata.

Nel frattempo, l’aumento dei prezzi in tutto il mondo ha reso i costi delle utenze e delle riparazioni dei beni ecclesiastici difficili da coprire. La Chiesa d'Inghilterra dichiara di aver bisogno di un miliardo di sterline, più di sette volte il suo reddito annuo nel 2020, per ottemperare alle necessità manutentive dei prossimi cinque anni. In America, le spese destinate alla conservazione e al mantenimento degli edifici rappresentano più di un quarto del budget della chiesa. Anche i bilanci annuali di molte moschee, soprattutto in Occidente, sono spesso troppo esigui per la cura degli edifici.

“Internet è stata al tempo stesso una benedizione e una maledizione”, osserva l’Economist. Si stima infatti che un sermone virtuale dell'arcivescovo di Canterbury nel 2020 sia stato ascoltato da circa cinque milioni di persone, più di cinque volte il numero di fedeli che ogni settimana andavano a messa nel Regno Unito prima della pandemia. Ma l’altro lato della medaglia delle celebrazioni online è rappresentato dall’obsolescenza degli edifici, rimasti vuoti e decadenti. Ne deriva una diffusa tendenza, da parte dei gruppi religiosi, a vendere e affittare immobili di proprietà a un ritmo più sostenuto rispetto a prima. I Testimoni di Geova, movimento religioso cristiano con nove milioni di fedeli in tutto il mondo, hanno venduto la loro sede nel Regno Unito. La chiesa australiana Hillsong, che ogni settimana riunisce 150mila fedeli in 30 Paesi, per le funzioni domenicali affitta teatri, cinema e altri edifici.

Un’altra soluzione sempre più comune per far fronte ai problemi di bilancio è la fusione, espediente cui si ricorreva già prima della pandemia, ma il cui consolidamento sembra in aumento. La pratica è sempre più frequente tra chiese di rito cattolico, tra sinagoghe e anche all'interno di altre religioni, ma è particolarmente in voga tra le principali chiese protestanti americane.

Come accade nei matrimoni ben riusciti – nota il pastore statunitense Warren Bird – l’unione tra parrocchie funziona quando ogni parte porta in dote qualcosa. La fusione di una chiesa in difficoltà con una chiesa più salda porta nella maggior parte dei casi la prima a essere inghiottita dalla seconda, nonché a perdere i vecchi seguaci; fusioni felici hanno d’altra parte portato all’edificazione di circa 1.750 “megachiese” con più di duemila frequentatori abituali e bilanci multimilionari.

La pandemia, conclude l’Economist, ha quindi costretto le organizzazioni religiose del mondo a fare il punto della situazione sulle risorse materiali, oltre che su quelle spirituali.

Previsioni di demografia religiosa

Secondo un rapporto del Pew Research Center di Washington, risalente al 2015 ma indicativo di alcune tendenze a medio e lungo termine, lo scenario delle religioni del mondo sta mutando rapidamente, anzitutto a causa delle differenze nei tassi di fertilità e nel numero di giovani nei diversi Paesi. Tra i fattori considerati nello studio per il tracciamento di una demografia delle religioni proiettata al 2050, anche i movimenti migratori e le speranze di vita. Nel delineare il profilo religioso di metà secolo, i ricercatori dell’istituto americano hanno preso in considerazione solo le appartenenze aggregate alle confessioni tradizionali, e non anche quelle più saltuarie ai molteplici e variegati culti oggi esistenti. A emergere nella previsione del corso dei prossimi decenni sono, oltre a un numero sempre maggiore di persone che cambiano religione, il dominio del cristianesimo e la crescita dell’Islam, quest’ultima maggiore di quella delle altre fedi, dovuta soprattutto al tasso di fecondità, pari a 3,1 figli per donna contro i 2,7 dei cristiani: se questo orientamento sarà confermato, a partire dal 2070 saranno più i musulmani dei cristiani. Alcuni Paesi – come Stati Uniti, Francia, Regno Unito – vedranno crescere le percentuali di agnostici e indifferenti, anche se i non credenti declineranno in termini percentuali, a causa dell’età media più elevata e dei bassi livelli di fecondità (1,7 figli). Ebrei e hindu cresceranno, mentre i buddisti rimarranno stabili. Negli Stati Uniti, i cristiani scenderanno da più di tre quarti della popolazione del 2010 ai due terzi del 2050. In Europa, i musulmani saranno pari al 10% della popolazione (dal 5,9 registrato nel 2015), e in termini assoluti vi sarà una rilevante contrazione dei cristiani (quasi 100 milioni in meno, pari ad un meno 18%) e una crescita degli areligiosi. L’India, che avrà il 18,4% della sua popolazione di fede islamica, sarà comunque il Paese con il maggior numero di musulmani, seguito da Pakistan, Indonesia, Nigeria. Nell’Africa subsahariana le due principali confessioni religiose – cristiana e musulmana – cresceranno in ragione dell’intensa demografia dell’area.

Il futuro delle religioni dipende quindi da una pluralità di fattori: la psicologia evolutiva e la secolarizzazione delle società umane, i bisogni spirituali delle nuove generazioni di fedeli, la sostenibilità e la competitività delle attività economiche delle chiese e l’irregolare crescita demografica della popolazione mondiale.

mercoledì 30 marzo 2022