Un fondo da 125 miliardi per l’Amazzonia: la scommessa del Brasile alla Cop30
Tra i temi più discussi della Conferenza sul clima di novembre la conservazione delle foreste tropicali. Il Brasile annuncia un investimento da un miliardo di dollari. Ma mantenere le promesse non sarà così semplice.
Non è un caso che la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop), in programma dal 10 al 21 novembre, si terrà a Belém. La città brasiliana si trova sulla foce del Rio delle Amazzoni e fa parte della cosiddetta “Amazzonia legale”, un’area che comprende nove Stati brasiliani e il 60% dell'intera foresta (che si estende anche in Perù, Colombia e altre nazioni). I delegati dei vari Paesi, come scrive l’Economist, “non dovranno viaggiare lontano per vedere il vuoto dove un tempo si trovava la foresta pluviale”.
Questo vuoto è visibile dallo spazio: 67mila chilometri quadrati di foresta pluviale vergine distrutti l'anno scorso, un’area grande all'incirca quanto l'Irlanda e quasi il doppio di quella disboscata nel 2023. Negli ultimi cinquant’anni la deforestazione ha colpito un quinto dell’estensione complessiva dell’Amazzonia. L'impegno preso dai leader mondiali nelle varie Cop (fermare il fenomeno entro il 2030) è molto lontano dall’essere rispettato.
Teoricamente, arrestare la deforestazione dell’Amazzonia è uno dei modi più economici per contenere il riscaldamento globale. E non farlo è dispendioso, tanto per il mondo quanto per i brasiliani stessi. La regione dell’Amazzonia legale ha emesso nel 2018 gas serra equivalenti a 33 tonnellate di anidride carbonica per ciascuno dei 28 milioni di abitanti, quasi tutte emissioni provenienti dal disboscamento per generare terreno agricolo. All’incirca le emissioni pro capite del Qatar, che però si arricchisce con petrolio e gas.
Come fa notare il settimanale britannico, da questo disboscamento i residenti brasiliani guadagnano però molto di meno di quanto i qatarioti fanno con le fossili. Mentre il Pil pro capite dell’area verdeoro è di 5.900 dollari, quello del Qatar è di 76mila. “Nessun singolo Paese ha emesso così tanto [pro capite] e creato così poca ricchezza”, ha commentato Beto Veríssimo di Imazon, think tank ambientalista di Belém. Distruggere l'Amazzonia non è quindi solo devastante per l'ambiente, ma anche economicamente poco redditizio.
La foresta amazzonica offre anche un grande servizio al mondo, immagazzinando “circa cinque anni di emissioni globali di anidride carbonica”. Servizio di cui non beneficia solo il pianeta, ma anche i brasiliani stessi. Gli alberi assorbono l'acqua attraverso le radici, la usano per far circolare i nutrienti, quindi ne lasciano evaporare una parte attraverso le foglie nell'atmosfera, contribuendo a creare quei venti carichi di umidità che irrorano tutto il Brasile. Un potenziale che l’attuale presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva conosce bene. Durante i suoi primi due mandati, dal 2003 al 2011, la deforestazione diminuì dell’80%, per poi impennarsi di nuovo con Jair Bolsonaro. E ora sta cercando di replicare.
Nonostante i numeri, però, per molti brasiliani resta un’evidenza: se a conservare l’Amazzonia ci guadagnano tutti a proteggerla devono pensarci solamente loro. E questo è un dato di fatto su cui non si può soprassedere. Considerare la foresta come una risorsa economica – e lo stoccaggio di carbonio, la regolazione delle acque e la biodiversità come servizi, piuttosto che doni – renderebbe la sua conservazione economicamente razionale e potrebbe arricchire i residenti.
Uno studio riportato dall’Economist suggerisce che l'Amazzonia fornisce circa 40mila dollari di valore per chilometro quadrato ogni anno, il che le conferisce un valore patrimoniale di circa 3mila miliardi di dollari (il 50% in più rispetto all’azienda omonima). E mantenerla intatta costa anche meno. Due economisti brasiliani, Juliano Assunção e José Alexandre Scheinkman, hanno dichiarato che, stimando a 25 dollari il beneficio che la foresta amazzonica garantisce per ogni tonnellata di anidride carbonica assorbita, i proprietari terrieri sarebbero più incentivati a riforestare l’area, piuttosto che abbattere alberi e vendere la terra agli allevatori.
E il Brasile è intenzionato a percorrere questa strada alla Cop. Il governo inaugurerà il Fondo per le foreste tropicali eterne (Tfff) per finanziare le foreste pluviali. Investitori pubblici, fondi sovrani e organizzazioni filantropiche dovrebbero capitalizzarlo con una cifra di 25 miliardi di dollari (di cui il Brasile fornirà un miliardo). Questo fondo, reinvestito in obbligazioni e mercati emergenti ad alto rendimento, dovrebbe raggiungere quota 125 miliardi di dollari. Arrivati a quella cifra, il pacchetto dovrebbe essere in grado di svolgere il suo compito: premiare economicamente gli Stati che limiteranno la deforestazione allo 0,5% annuo. Un quinto dei pagamenti sarà destinato alle popolazioni indigene o alle “comunità tradizionali” che preservano il territorio, mentre il resto a queste forme di premialità nazionali. Il Brasile stima che, se tutto andrà bene, questo processo renderà circa 400 dollari per chilometro quadrato di foresta protetta all'anno.
Secondo le valutazioni dell’Economist, i numeri del Brasile sono “probabilmente ottimistici”. In un periodo in cui le spese militari hanno la priorità su quelle ambientali, non è detto che questa valanga di investimenti si metterà in moto. Ma tentar non nuoce.
Copertina: Vlad Hilitanu/unsplash